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21 SETTEMBRE 2020 GIORNATA MONDIALE ALZHEIMER DOMANDE E RISPOSTE SCRITTE SULLA MALATTIA

Incontro con il Centro Alzheimer del Policlinico di Milano “Centro Dino Ferrari” dell’Università degli Studi


In occasione della “Giornata Mondiale dell’Alzheimer”, il prof. Elio Scarpini, Responsabile del centro Alzheimer del Policlinico di Milano, Università degli Studi, insieme ad alcuni neurologi, neuropsicologi e ricercatori del “Centro Dino Ferrari”, con la partecipazione del Direttore Scientifico dell’Associazione Malattia Alzheimer Milano (A.M.A.) e con l’esclusivo intervento della Prof.ssa Abbracchio, Prorettore dell’Università degli Studi di Milano, ha risposto ad alcune delle più frequenti domande inerenti alla malattia.

Di seguito, tutte le domande poste ai nostri esperti:

Che cos’è la malattia di Alzheimer?

Risponde Dott. Arighi

La malattia di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa, che colpisce le cellule del sistema nervoso centrale. E’ caratterizzata dalla perdita di cellule cerebrali, particolarmente in quelle aree del cervello deputate  alle principali funzioni cognitive. I sintomi principali sono il declino della memoria e di altre funzioni, come l’orientamento o il linguaggio, tali da interferire con le attività della vita. La malattia è progressiva, perciò inizialmente si presenta con sintomi sfumati e subdoli, difficilmente riconosciuti dal paziente, ma spesso riscontrati dai famigliari che vivono con lui.

Quali sono i percorsi attivi in Policlinico?

Risponde Dott. Arighi

Il Policlinico ha predisposto un Percorso Diagnostico, Terapeutico e Assistenziale (PDTA) che vede collaborare Neurologi, Psichiatri e Geriatri per la cura di pazienti adulti e anziani affetti da decadimento cognitivo e disturbi psico-comportamentali. Il percorso prevede una stretta collaborazione tra specialisti e la possibilità di impostare per ciascun paziente un percorso adeguato per definire un inquadramento diagnostico preciso e rapido mediante le più moderne tecniche disponibili. Al Policlinico ono disponibili le più moderne strutture per affrontare queste patologie: ambulatorio multidisciplinari che vedono collaborare diversi specialisti, laboratorio di neuropsicologia con diverse batterie specifiche per caratterizzare nel dettaglio le funzioni cognitive, risonanza magnetica ad alto campo, PET con traccianti di ultima generazione, laboratorio di neurobiologia per l’analisi del liquor cefalorachidiano e la ricerca di nuovi marcatori plasmatici, laboratorio di neurogenetica con analisi di nuova generazione per definire anche mutazioni rare.

Definita la patologia alla base del decadimento cognitivo, verrà poi impostata la terapia più adeguata, secondo le attuali linee guida, e eventualmente consigliato anche l’arruolamento in trial clinici che prevedono la somministrazione di nuove molecole in fase di studio per le patologie neurodegenerative.

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Quante sono in Italia le persone colpite?

Risponde Dott. Arighi

La malattia di Alzheimer è la più comune malattia neurodegenerativa: si stima che nel mondo venga posta una nuova diagnosi di demenza ogni 4 secondi. Nel mondo si stimano circa 46 milioni di pazienti con demenza, dei quali 1,2 milioni sono in Italia, con circa 270 mila nuovi casi all’anno. In Lombardia ci sono 115 mila pazienti affetti da demenza, nella sola città di Milano sono 25 mila. La prevalenza della demenza nei paesi industrializzati è circa del 8% negli over 65 e sale oltre il 20% dopo gli ottanta anni. La demenza è in crescente aumento nella popolazione generale ed è stata definita dall’OMS una priorità mondiale di salute pubblica.

Quali sono i principali sintomi premonitori?

Risponde Dott. Rotondo

Il sintomo cognitivo principale è la graduale e progressiva perdita della memoria recente. In pratica, si fa sempre più fatica a ricordare avvenimenti della vita di tutti i giorni. Solitamente questo sintomo viene accompagnato da un disorientamento temporale (non si ricorda il giorno del mese, della settimana, il mese, la stagione e l’anno) e, talvolta, una mancanza di consapevolezza proprio delle difficoltà appena elencate. Oltre ai segni clinici e cognitivi ci sono dei marcatori biologici e neuroradiologici che contribuiscono in modo decisivo ad un corretto inquadramento diagnostico.

Come evolve?

Risponde Dott. Carandini

Oltre alla memoria, che è tradizionalmente la funzione compromessa per prima, con il progredire della malattia, possono comparire  anche difficoltà nell’orientamento spaziale, nel linguaggio e nella capacità di eseguire gesti comuni o riconoscere persone note. Sono possibili anche alterazioni del comportamento, quali agitazione e aggressività, e nelle fasi più avanzate incontinenza, difficoltà motorie e crisi epilettiche.

Qual è la causa?

Risponde Dott. Galimberti

La causa sembra essere la deposizione di proteine patologiche in specifiche sedi del cervello, che portano i neuroni inizialmente ad un funzionamento ridotto e alla fine alla morte. Questi eventi determinano la comparsa dei sintomi e giustificano la natura progressiva della malattia, in quanto le cellule morte non possono essere rimpiazzate. A monte della deposizione di queste proteine ci sono diversi meccanismi biologici, fra cui l’anomala attivazione di molecole infiammatorie.

Esistono fattori di rischio?

Risponde Dott. Fumagalli

Ci sono due tipi di fattori di rischio, quelli genetici e quelli legati allo stile di vita detti anche ambientali. Tra i fattori di rischio genetici il più importante è genotipo APO-E. La maggior parte delle persone ha un genotipo APO-E epsilon 3 e ha un rischio medio. Le persone con un genotipo e2 hanno un rischio ridotto mentre quelle con e4 il rischio è aumentato. Ricordiamo però che rischio aumentato non vuol dire che si svilupperà la malattia sicuramente. Tra i fattori di rischio ambientali invece ci sono la sedentarietà, il fumo, l’alcol, la pressione alta. Anche la perdita di udito può influenzare la malattia soprattutto se non viene corretta.

Si può prevenire?

Risponde Dott. Arighi

La prevenzione è uno strumento fondamentale per affrontare questa malattia. Dal momento che conosciamo una serie di fattori di rischio ambientali modificabili, l’elemento principale della prevenzione è l’eliminazione di questi fattori con una correzione dello stile di vita: non fumare, non assumere alcolici, controllare la pressione arteriosa, la glicemia ed il colesterolo mediante la dieta e l’attività fisica. La dieta mediterranea è ormai riconosciuta dalla letteratura internazionale come fondamentale per la prevenzione della demenza, così come un’attività fisica regolare e quotidiana. Recentemente si sta riconoscendo anche un ruolo alla stimolazione cognitiva, perciò attività culturali e sociali sembrano prevenire l’esordio del decadimento cognitivo.

È ereditaria?

Risponde Dott. Galimberti

E’ ereditaria nel senso di trasmissibile da una generazione all’altra in pochissimi casi (non più del 2% a livello internazionale, con frequenza variabile nei vari Paesi), che spesso hanno un esordio precoce.

Quali sono gli esami da fare per capire se ho l’Alzheimer?

Risponde Dott. Arighi

Il percorso diagnostico per la malattia di Alzheimer si differenzia in base alla sintomatologia iniziale ed alle caratteristiche del paziente. Dopo una prima visita neurologica di inquadramento, come primo livello di accertamenti vengono eseguiti una batteria di test neuropsicologici, costituita da diversi test che indagano le diverse funzioni neuropsicologiche (memoria, linguaggio, orientamento, funzioni visive, calcolo, attenzione…), ed una TC encefalo, che permette di valutare la struttura del cervello. Il secondo livello, che viene definito sulla scorta dei risultati ottenuti dai primi accertamenti, può prevedere indagini di neuroimaging più avanzate, come la risonanza magnetica o la PET encefalo con glucosio radiomarcato, e indagini che permettono di definire il processo patologico in atto. Una volta definita la patologia, in base all’età del paziente ed alla presenza di altri soggetti affetti tra i famigliari, si può decidere di approfondire ulteriormente il quadro con analisi genetiche avanzate.

È vero che colpisce soprattutto le donne?

Risponde Dott. Carandini

Si, è vero. Si stima che circa 2/3 dei malati di Alzheimer sia di sesso femminile, soprattutto nella fascia di età superiore agli 85 anni. La risposta più scontata a questa differenza di incidenza è che le donne hanno un’aspettativa di vita maggiore degli uomini e quindi una possibilità più elevata di raggiungere le fasce di età a rischio per lo sviluppo della malattia. Accanto a questa teoria, la ricerca sta cercando di identificare altri fattori in grado di spiegare come mai le femmine sono più a rischio di sviluppare l’Alzheimer, quali il ruolo degli ormoni femminili, una predisposizione genetica o determinati stili di vita.

È vero che colpisce solo gli anziani?

Risponde Dott. Fumagalli

No, la malattia di Alzheimer nonostante sia presente soprattutto con l’invecchiamento, colpisce anche persone giovani, soprattutto in caso di mutazioni genetiche o di forme particolari. Inoltre bisogna ricordare che la terza età non è affatto sinonimo di demenza visto che la maggior parte delle persone va incontro ad un invecchiamento fisiologico e non mostra disturbi cognitivi significativi

Si muore di Alzheimer?

Risponde Dott. Carandini

L’aspettativa di vita di un malato di Alzheimer varia dai 3 ai 20 anni. Tuttavia, non si muore letteralmente di Alzheimer, ma delle complicanze che la malattia comporta nelle fasi più avanzate. Il deterioramento del quadro cognitivo e motorio causa un aumentato rischio di cadute e fratture e conduce ad un progressivo allettamento che predispone ad infezioni, soprattutto polmonari, e ad un aumentato rischio trombotico. Vi è poi una tendenza alla malnutrizione e alla disidratazione, secondaria alla difficoltà di alimentarsi. Fondamentale è quindi la presa in carico multidisciplinare del paziente in un Centro Alzheimer per prevenire ed eventualmente trattare adeguatamente tali complicanze.

C’è una cura?

Risponde Dott. Fumagalli

Ci sono dei farmaci che aiutano a contrastare i sintomi ma non curano la malattia. Questi farmaci sono comunque utili perchè aiutano i pazienti e chi si prende cura di loro a stare meglio. I farmaci agiscono rendendo più disponibile un neurotrasmettitore (l’acetilcolina) a livello cerebrale oppure bloccando dei canali a livello dei neuroni. Purtroppo in questo momento non c’è un farmaco che possa invertire la rotta o anche solo bloccare la malattia ma la ricerca in questo campo è molto ricca e speriamo di trovare presto una soluzione.

Cosa può fare la famiglia nell’assistenza al malato di Alzheimer?

Risponde Dott. Rotondo

La famiglia ha di certo un ruolo fondamentale nella malattia. Da un lato, vive con il paziente le problematiche legate all’assistenza, e dall’altro rappresenta un punto di forza nella gestione pratica e psicologica delle medesime difficoltà. Inizialmente il ruolo principale della famiglia è supportare il malato durante l’iter diagnostico, alla comunicazione della diagnosi, nella gestione della terapia e dei controlli clinici. Con la progressione della malattia, si rende necessaria una supervisione via via più costante fino ad una vera e propria assistenza domiciliare. Le famiglie, purtroppo, sono spesso in serie difficoltà nel ridefinire gli equilibri e nell’instaurare nuove dinamiche mirate all’accudimento e al miglioramento della qualità della vita del paziente e di tutto il nucleo familiare. In questo scenario è fondamentale, quindi, fornire alle famiglie le informazioni, il sostegno e gli strumenti che possano facilitare il più possibile questo arduo e complesso ‘compito’ che quasi mai sono preparate ad affrontare. Chi può farlo? Il centro di riferimento, in primis, seguito poi dalle associazioni che sul territorio focalizzano il proprio lavoro al sostegno di queste famiglie.

Gli psicologi di AMA rispondono:

Qual è l’impatto della malattia sui familiari?

Spesso si sente dire che la malattia di Alzheimer fa due vittime: la persona colpita e la sua famiglia. Dalla diagnosi in poi, la famiglia si trova effettivamente ad affrontare una serie di necessari adattamenti che impattano in modo importante sulla sua organizzazione. Il lavoro di cura, che questa malattia richiede, è, infatti, complesso perché riveste diverse dimensioni: quella pratica (supporto alle attività di vita quotidiana), quella relazionale (mantenere i legami con le persone importanti per il malato), la dimensione organizzativa(gestire gli appuntamenti e la “burocrazia”), la dimensione etica (dover scegliere “al posto di….”), e la dimensione emotiva. Quest’ultima non riguarda solo l’imparare a gestire le emozioni del malato, spesso amplificate dall’incapacità di attingere a strategie di autocontrollo e innescate dalla difficoltà di corretta interpretazione di ciò che accade, ma anche riconoscere e legittimare le proprie. Accade spesso che, accanto alla soddisfazione di sentirsi utile, il familiare che cura provi tristezza (ad esempio perché sente di perdere la persona di sempre), rabbia (ad esempio verso se stesso per non essere abbastanza bravo, verso gli altri familiari che non aiutano, verso il malato che gli “sta rubando la vita”) e paura (ad esempio di non farcela o di come andrà avanti la malattia).

Cosa accade nella relazione con il malato?

In generale, l’alterazione della memoria, e di altre funzioni cognitive, cambiano col tempo il rapporto col malato modificando sia le abitudini della vita quotidiana sia la relazione del legame con lui (inversione del ruolo figlio-genitore, progressiva perdita del rapporto paritario fra coniugi o fratelli). La progressiva tendenza della memoria a ricordare sempre più indietro nel tempo porta il malato a tenere comportamenti più coerenti con fasi precedenti della propria vita, piuttosto che attuali, che solo la conoscenza della sua specifica vita passata può aiutare a comprendere e a gestire. Inoltre, la mancanza di consapevolezza dei propri deficit da parte del malato, che fa parte della malattia, può rendere la relazione con lui complessa  e fonte di opposizioni e di conflitti. In famiglia, al legame affettivo e familiare di sempre si  somma, a tratti si sovrappone, la relazione di cura, che, man mano che la necessità di protezione e di assistenza aumenta, diventa gradualmente un secondo ruolo svolto nei confronti del proprio caro. Si instaura un doppio legame, familiare e di cura, che nel bene e nel male è più vincolante per entrambe le parti.

Quale sostegno può trovare il familiare nel lavoro di cura?

Durante il percorso di cura l’Associazione Malattia Alzheimer Milano mette a disposizione delle famiglie servizi gratuiti sia per aiutarle ad aderire ai cambiamenti che la malattia porta con sé sia a rendere il lavoro di cura sostenibile nel tempo. Per i familiari i servizi di counselling (individuale, familiare e di gruppo) e i gruppi di auto-mutuo aiuto offrono informazioni sulla malattia, orientamento verso i servizi del territorio, comprensione delle dinamiche relazionali, supporto nelle decisioni, consulenza sulla protezione giuridica, su stimolazione cognitiva e attività quotidiane del malato, sostegno emotivo, aiuto nel prevenire e nel ridurre il malessere psicologico, supporto attraverso lo scambio di esperienze e la condivisione di vissuti con altri. I  laboratori di scrittura autobiografica sono uno spazio protetto ove ritagliare un tempo oltre la cura per non dimenticarsi di sé, dedicato ai propri ricordi e alla propria storia di vita. Per il malato accompagnato dal suo caregiver (familiare o assistente familiare), gli Alzheimer Cafè e gli incontri di Arteterapia comprendono attività ricreative adatte alle capacità del malato a cui partecipano insieme per il benessere di entrambi, trascorrendo momenti piacevoli e divertenti, riducendo il rischio di isolamento, con la possibilità di acquisire modi diversi di stare insieme, riproducibili anche a casa, e ottenere anche uno sguardo competente sulla relazione reciproca.

 

https://associazionecentrodinoferrari.com/

- Comunicato Giornata Mondiale Alzheimer 2020
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